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Siamo ancora pederasti...

24-10-2024
Siamo ancora pederasti...

L’epiteto omofobo è stato utilizzato in una chat di FdI nei confronti di Francesco Spano, il manager culturale che Alessandro Giuli ha voluto al Ministero della cultura come suo capo di gabinetto


di Giorgio Umberto Bozzo

Nel primo volume del saggio Le Radici dell’Orgoglio, uscito nel maggio scorso, riferendomi al linguaggio utilizzato sui giornali italiani nel secondo dopoguerra per quelle occasioni (poche e sempre collegate a fatti di cronaca nera) in cui si affacciava l’idea dell’omosessualità, ho scritto:

Siamo in un momento della nostra storia in cui, nel linguaggio popolare, per indicare un omosessuale di sesso maschile, va per la maggiore il termine invertito; regge ancora dai primi decenni del secolo quando era molto in voga pederasta; mentre perde decisamente terreno, dopo secoli d’uso, il biblico sodomita. La donna omosessuale, invece, è quasi del tutto rimossa dal linguaggio e dall’immaginario collettivo. È comunque vero che sulla stampa ci si riferisce all’«amore che non osa dire il suo nome» preferibilmente con grottesche e talvolta enigmatiche perifrasi: «gli ambienti particolari», «lo squallido mondo del turpe vizio», «il giro dei degenerati», e chi più ne ha più ne metta, lasciando libero sfogo alla fantasia e al disprezzo. Ci siamo divertiti a spigolare nel linguaggio giornalistico del tempo alla ricerca di sostantivi ed aggettivi utilizzati negli articoli di cronaca – con maggior frequenza nera – in cui si adombra l’idea dell’omosessualità.
Ce n’è per tutti i gusti. Nella categoria dei sostantivi, a parte i già citati classici come sodomita, pederasta e invertito, troviamo anche uranista o urningo*, anormale, anfibio, irregolare, capovolto, mancino del sesso, genere neutro e la lista potrebbe continuare a lungo, soprattutto se volessimo integrare anche i termini in vernacolo.
Inquietante la lista degli aggettivi, che rende ancora più chiaro il pregiudizio di chi li utilizza: scabroso, ripugnante, equivoco, anormale, triste, penoso, tragico, scottante, mostruoso, abnorme...

(* Questi termini sono stati coniati da Karl Einrich Ulrichs (Aurich, 28 agosto 1825 – L’Aquila, 14 luglio 1895), uno scrittore e poeta omosessuale che nel corso degli ultimi decenni del XIX secolo è stato un pioniere dell’attivismo omosessuale).

“Pederasta” è quindi stato a lungo un termine comunemente utilizzato con malcelato fastidio per indicare un omosessuale maschio e, va detto, ancora oggi alcuni dizionari lo presentano come una legittima variante.
Peccato che non sia così, giacché l’etimologia fa derivare la parola dal greco παιδεραστής formato da παῖς, παιδός cioè "fanciullo" e da ἐράω ossia "amare": significa quindi più propriamente "chi ama i fanciulli" (fonte Treccani).
È abbastanza evidente che il termine abbia, quindi, più a che vedere con la figura del “pedofilo”, che con quella dell’“omosessuale maschio” e chi lo utilizza dimostra o un’imbarazzante ignoranza (siamo nel 2024 e il movimento di liberazione omosessuale ha già più di 50 anni!), o una chiara e spregiudicata intenzione offensiva nel voler far coincidere queste due per nulla conciliabili tipologie umane.
È probabilmente il caso del prode coordinatore di FdI per il IX Municipio di Roma Fabrizio Busnengo, che il 12 ottobre scorso, in una chat Whatsapp frequentata da circa 200 “cameratə” (l’uso della schwa è necessario, perché nella lunga lista di partecipanti alla Casa del Fascio virtuale vi sono anche donne, come ad esempio la potente capessa della segreteria nazionale Arianna “sorella di” Meloni), il termine “pederasta” l’ha utilizzato per indicare Francesco Spano, il nuovo capo di gabinetto del Ministro della cultura Alessandro Giuli, reo di essere gay, cattolico, sposato (con un maschio adulto, ça va sans dire) e ideologicamente lontano dal partito di Giorgia Meloni.
La frase esatta postata in chat sarebbe stata: «Buongiorno, voglio segnalare il grosso malumore nel nostro partito per la nomina del pederasta Spano da parte del ministro Giuli».

Le Radici Dell’Orgoglio
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